
Dal 19 luglio al 9 novembre 2025, il Centro Studi Osvaldo Licini – Casa Museo Osvaldo Licini di Monte Vidon Corrado propone una mostra di straordinaria densità poetica e visiva: «Quel lontano mar, quei monti azzurri. Il Paesaggio di Osvaldo Licini e Tullio Pericoli», a cura di Nunzio Giustozzi e Daniela Simoni. Un’esposizione che non si limita al confronto formale tra due maestri, ma scava nelle radici profonde del paesaggio marchigiano come luogo dell’anima, come crocevia tra infinito e finito, come epifania di un’interiorità che si fa immagine.
Una mostra-ponte tra tempo e linguaggi
L’accostamento tra Licini e Pericoli è tutt’altro che arbitrario. Il primo, protagonista assoluto dell’arte italiana del Novecento, ha saputo trasformare la sua terra natale in metafora del pensiero e del sogno. Il secondo, raffinato interprete della forma e del segno, ha restituito nel tempo un paesaggio inquieto e meditativo, profondamente radicato nella materia visiva e nella memoria. Entrambi, pur con approcci diversi, si sono misurati con la dialettica tra reale e immaginario, tra natura osservata e paesaggio interiorizzato.
Il paesaggio come luogo mentale
Nel corpus esposto, Osvaldo Licini appare con quella sua consueta capacità di sublimare il dato visivo in esperienza visionaria. Il suo paesaggio non è mai mera trascrizione dell’osservazione, ma scena mentale, costruzione filosofica e lirica. La natura marchigiana – mai drammatica né spettacolare, ma civilmente misurata come scriveva Guido Piovene – diventa terreno fertile per sviluppare simboli, figure sospese, architetture dell’invisibile. I “Angeli ribelli”, le “Amalassunte”, emergono da colline lievi e cieli metafisici, custodendo un silenzio carico di domande.
Per Tullio Pericoli, invece, il paesaggio è materia da dissezionare, da ascoltare e interpretare attraverso la linea, attraverso quel segno incisivo, nervoso e meditato che ne è cifra stilistica e poetica. Nelle opere selezionate – dalle più cupe e inquietanti degli anni Settanta fino alle vedute più luminose e aeree del decennio successivo – si avverte una tensione continua tra ordine e disordine, tra superficie e profondità. Le opere più recenti, in particolare, denunciano un paesaggio ormai ferito, quasi traumatico, nel quale l’artista si interroga sul rapporto tra uomo e ambiente, senza retorica ma con intensa consapevolezza.
Il segno come legame profondo
Il fil rouge che unisce Licini e Pericoli è il segno. Un elemento grafico e insieme concettuale che assume valore di pensiero, di traccia esistenziale. Per entrambi, il segno non è mai puramente estetico, ma è gesto di rivelazione, sintesi visiva di un mondo inafferrabile. In questo senso, la mostra non è solo un omaggio al paesaggio, ma una riflessione sul disegno come forma originaria del sentire. In linea con le ricerche portate avanti dal Centro Studi Licini, il “segno marchigiano” si configura così come elemento di identità artistica, profonda e non localistica.
Conclusione
«Quel lontano mar, quei monti azzurri» è una mostra che non si limita a esporre, ma invita a contemplare, a riflettere. Attraverso la forza silenziosa delle opere e l’equilibrio curatoriale del percorso, essa propone una ricognizione estetica ed emotiva di un paesaggio che è sì marchigiano, ma che diventa universale, archetipico, spirituale. Licini e Pericoli, ciascuno con la propria voce, ci ricordano che l’arte non descrive il mondo: lo reinventa, lo interroga, lo salva.
Una mostra necessaria, che merita di essere vissuta con lentezza, con attenzione, con gratitudine.