“Teste di Bimbolotti” – Il grottesco ruggisce tra infanzia e iconoclastia
Un neonato tatuato, con corna da diavolo e il logo AC/DC sul petto spalanca la bocca in una risata satanica. È questa l’immagine dirompente e disturbante che introduce “Teste di Bimbolotti – Il Grottesco in Arte”, la nuova mostra di Luciano Di Gregorio, artista e pensatore visivo che affonda il pennello nel lato più ambiguo e provocatorio della rappresentazione umana.
Il titolo: tra nonsense e critica sociale
Il titolo stesso, “Teste di Bimbolotti”, suona come un insulto infantile, ma al contempo rievoca un universo deformato, in bilico tra caricatura e allucinazione. È una dichiarazione di poetica: il grottesco, come già nella tradizione manierista e barocca, diventa lo strumento per disarticolare l’ordine apparente delle cose, rompere l’ideale classico e far emergere l’inquietudine del presente.
Bambini, politici, VIP: la sacra triade dell’idolo demolito
Nella galleria visionaria dell’artista, ogni figura – sia essa un neonato angelicato trasformato in punk, un volto noto della politica deformato in clown o un’icona pop vestita di simboli esoterici – viene spogliata del suo ruolo sociale o mitico per diventare maschera. La mostra si compone di ritratti che non sono ritratti, ma parabole. Parodie tragiche e surreali che parlano dell’umanità come paradosso continuo: tenera e mostruosa, sacra e ridicola.
Il grottesco: né satira né sarcasmo, ma visione
Di Gregorio non fa satira. Il suo grottesco non ride contro, ma oltre: esplora, scava, sovverte. Le immagini scomode che propone non vogliono semplicemente scandalizzare, ma suggerire una realtà aumentata, dove le apparenze si ribaltano. Non è un caso che i bambini – archetipo dell’innocenza – siano i primi a essere travolti da tatuaggi, simboli metal e gesti hard rock: è un cortocircuito estetico che mette in crisi lo spettatore.
Stile e tecnica: pittura come shock visivo
Lo stile è iperrealista, ma filtrato da una sensibilità pop e kitsch. Colori caldi e lucidi, pelle quasi cerata, espressioni esagerate: ogni dettaglio è calibrato per generare attrazione e repulsione simultanee. La pittura, spesso digitale o fotorealistica, tradisce la tradizione fiamminga per corteggiarla: come nei migliori Bosch o Bruegel, l’inferno è sulla terra, ma lo guardiamo sorridendo.
Conclusione: arte come trauma estetico
“Teste di Bimbolotti” è una mostra che non si dimentica. È una scossa, una vertigine visiva, un colpo di scena iconografico. Di Gregorio ci invita a riconsiderare i nostri simboli, le nostre certezze, e a farlo con gli occhi spalancati, come quelli di un neonato indemoniato. Il grottesco, ancora una volta, si dimostra lo specchio più sincero del nostro tempo.