Il Sacro Grottesco: ironia e dissacrazione nel ritratto “Pontifex Maximus”

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Nel panorama dell’arte contemporanea, in cui l’ibridazione tra immagine politica, sacralità e iconoclastia diventa sempre più frequente, l’opera Pontifex Maximus si impone come un esempio fulminante di satira visiva, lucida e provocatoria. Realizzata nello stile solenne dell’olio su tela, l’immagine si presenta inizialmente come un classico ritratto pontificale, per poi esplodere in un cortocircuito simbolico che ne rovescia ogni codice: il personaggio ritratto, riconoscibilmente ispirato all’ex presidente statunitense Donald Trump, siede su un trono in abiti clericali, indossando un cappello di carta di giornale e sollevando con decisione il dito medio smaltato.

L’intervento satirico non si ferma alla gestualità oscena — che già infrange brutalmente l’aura liturgica del soggetto — ma si estende alla costruzione stessa dell’identità iconografica. Il cappello di carta, elemento infantile e fragile, sostituisce la tiara papale, smascherando l’apparato della sacralità come costruzione effimera e artificiale. Il medaglione presidenziale americano che pende dal collo del protagonista richiama la sovrapposizione, ormai diffusa, tra potere spirituale e potere secolare, tra autorità religiosa e narrazione politica. È proprio in questo incrocio tra Vaticano e Casa Bianca, tra pulpito e palcoscenico mediatico, che l’opera innesta la sua forza eversiva.

L’aggiunta del rossetto sulle labbra e dello smalto sul dito mediano suggerisce un’ambiguità ulteriore: non si tratta semplicemente di una parodia del potere maschile e patriarcale, ma forse anche di una riflessione sull’identità pubblica come performance, sulla teatralità dell’autorappresentazione, in un’epoca dove l’immagine ha sostituito la sostanza.

L’artista – di cui si coglie una mano sapiente, figlia della tradizione fiamminga o del realismo ottocentesco – adopera la tecnica pittorica non per abbellire, ma per amplificare il contrasto tra apparenza e contenuto. La qualità quasi fotografica del dipinto rende ancora più disturbante la sua carica ironica: tutto è dipinto con devozione e precisione, ma l’effetto finale è una demolizione sistematica della reverenza, un affondo feroce nel cuore dell’idolatria contemporanea.

Pontifex Maximus si pone così come una critica visiva alla divinizzazione del potere politico, al culto della personalità e alla spettacolarizzazione del sacro. Con un linguaggio che mescola l’estetica della pittura ufficiale con l’ironia dissacrante della cultura memetica, l’opera non cerca la neutralità: vuole disturbare, sollevare domande, obbligare lo spettatore a riflettere sul modo in cui veneriamo i nostri leader.


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