Figura inquietante di Luciano Di Gregorio: il sonno del segno, l’anatomia dell’incertezza
Con Figura inquietante, Luciano Di Gregorio ci conduce in un paesaggio interiore dove la forma si disgrega e si rigenera sotto i nostri occhi. L’opera, costruita su tonalità monocrome e su un equilibrio instabile tra figura e astrazione, rivela fin dal primo sguardo un’intenzione poetica: mettere in crisi la visione, spingere l’osservatore oltre la soglia del riconoscibile.
Nel cuore del lavoro si intuisce una forma umana, forse un volto, forse un corpo piegato nel sonno o nel dolore. È una presenza che non si lascia definire, un’identità liquida, disturbata da gesti pittorici che sembrano voler cancellare più che rivelare. Le pennellate trasversali, unite a sottili linee bianche che tagliano lo spazio, creano una tensione costante tra controllo e abbandono. L’artista impone e disfa, costruisce e smaterializza, come se volesse catturare l’essenza effimera della coscienza.
Al di sopra, tre segni netti — una stella, una croce, un’icona astratta — appaiono come emblemi caduti, resti simbolici di un sistema di significati ormai in rovina. Sono reliquie moderne, sospese in uno spazio bianco che non è silenzio ma attesa, come una pausa carica di possibilità e minacce.
Di Gregorio riesce a infondere nella materia visiva un senso psichico di turbamento: Figura inquietante è, appunto, una presenza che disturba, che richiama la nostra attenzione non per ciò che mostra ma per ciò che sottrae. È un’immagine che non si lascia pacificare, che costringe a interrogarsi su ciò che vediamo, su ciò che non possiamo più vedere — e forse neppure immaginare.
Un lavoro denso, riflessivo, in cui la pittura diventa atto filosofico. Luciano Di Gregorio si conferma così un autore capace di abitare il confine tra il visibile e l’inconscio, tra la forma e il suo costante dissolvimento.