Una collezione inattesa: Robert Rauschenberg e la reinvenzione del possibile

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Una collezione inattesa: Robert Rauschenberg e la reinvenzione del possibile

Cosa succede quando l’imprevisto diventa storia, e l’informale si fa architettura del pensiero? È a questa domanda che risponde idealmente Una collezione inattesa. La Nuova Arte degli Anni Sessanta e un Omaggio a Robert Rauschenberg, la mostra che le Gallerie d’Italia di Milano presentano dal 29 maggio al 5 ottobre 2025, a cento anni dalla nascita di uno degli artisti più iconici del secondo Novecento.

Curata da Luca Massimo Barbero, l’esposizione prende vita nel cuore pulsante della sede milanese di Intesa Sanpaolo, proponendo un percorso sorprendente e prezioso: sessanta opere dalla collezione Luigi e Peppino Agrati – perlopiù mai esposte insieme – compongono un viaggio denso e stratificato attraverso le sperimentazioni radicali degli anni Sessanta e oltre. Al centro del racconto, un omaggio a Robert Rauschenberg, artista che più di ogni altro ha incarnato il passaggio da una visione modernista dell’arte a un’idea espansa e inclusiva della creazione visiva.

Rauschenberg, il cui lavoro si è nutrito di scarti urbani, segni casuali e oggetti di uso quotidiano, ha saputo trasfigurare il linguaggio del ready-made in una poetica del reale. Le sue Combine Paintings – veri e propri cortocircuiti tra pittura, scultura e installazione – trasformano il frammento in sistema, l’errore in metodo, l’accumulazione in grammatica espressiva. In mostra, le opere provenienti dalla collezione Agrati restituiscono intatta questa energia sorgiva, sottolineando il ruolo cruciale della composizione e della grafica nel suo linguaggio, e rivelando un autore che non si è mai accontentato di rappresentare il mondo, ma ha voluto riattraversarlo, rimetterlo in moto, sovvertirne le gerarchie.

Attorno al corpus di lavori di Rauschenberg, la mostra costruisce un dialogo serrato con alcuni dei protagonisti dell’avanguardia europea e americana: Yves Klein, Lucio Fontana, Piero Manzoni, ma anche Giulio Paolini, Robert Ryman e Richard Serra. Un confronto che evidenzia come la tensione sperimentale degli anni Sessanta non abbia avuto un’unica voce, ma si sia articolata in traiettorie diverse e talvolta divergenti, tenute insieme dalla volontà comune di ridefinire i confini dell’opera d’arte e del ruolo dell’artista nella società.

Il titolo, Una collezione inattesa, non è dunque solo una descrizione: è un invito. A riscoprire, dietro il gesto del collezionista, la capacità di anticipare, custodire e rilanciare visioni. A riconoscere che anche nelle grandi collezioni private esiste un’intelligenza curatoriale implicita, capace di dialogare con la storia e, talvolta, di precederla. La raccolta degli Agrati, oggi parte del patrimonio artistico di Intesa Sanpaolo, si configura in questo senso come un dispositivo culturale in grado di generare nuovi significati, oltre la semplice esposizione delle opere.

In un tempo che spesso guarda al passato con nostalgia o con indifferenza, la mostra milanese riesce invece a riattivare il potenziale del Novecento come terreno ancora fertile, ancora interrogabile. Rauschenberg e i suoi contemporanei non appaiono qui come reliquie di un’epoca eroica, ma come presenze vive, ancora capaci di mettere in discussione le nostre abitudini percettive, le nostre categorie estetiche, il nostro modo di abitare l’immagine.

Ed è forse proprio questo il lascito più profondo del maestro americano a cent’anni dalla nascita: l’idea che l’arte, per essere davvero tale, debba sempre farsi incontro tra mondi, tensione tra ciò che è dato e ciò che può ancora accadere. Una lezione che oggi, più che mai, vale la pena di ricordare.

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